Se è vero che l' Architettura è un fatto costruito che necessita di continuità temporale, è anche vero che la varietà del panorama architettonico italiano ci impone, ogniqualvolta ci troviamo di fronte a qualcosa di costruito, un'interpretazione.
E spesso vincono le arroganze.
Siamo in un Italia che non è più in grado di calibrare, di misurare e di interpretare il costruito e il peso delle scelte da adottare su di esso. Ma c'è chi ancora si divincola da questo.
C'è ancora chi davanti alla storia riesce ancora ad avere la forza e l'umiltà di fare un passo indietro.
C'è ancora chi, con un certo reazionismo, ha il coraggio di pensare a progetti silenziosi, in un'architettura che oggi tende sempre più ad urlare.
C'à ancora chi pensa all'architettura della semplicità (che dalla banalità è lontana anni luce!).
Forse non c'è più posto per quella piccolezza che ci fa sentire tali di fronte alla storia, forse non c'è più spazio per l'umiltà.
Forse non c'è più posto per quei silenzi che sussurrano, senza sbraitare, che il nostro patrimonio storico di valore ha bisogno di una contemporaneità non egoistica, più che di interventi che ridicolmente provano a porsi alla pari di realtà con le quali è, a mio parere, molto difficile porre se stessi sullo stesso piano...
Forse ci si aspetta sempre il gioiello, il progetto che fa parlare di se in quanto tale, quello che ti meraviglia, che ti fa spalancare gli occhi. Perdendo di vista il concetto che forse è la storia il valore aggiunto. Forse ci si è così tanto abituati allo straordinario, all'appariscente che l'ordinario ormai è diventato inutile. Ma io credo che nell'ordinario risieda la chiave per far rivivere tutto questo.
Ma davvero si deve giocare a chi urla di più? o forse bisognerebbe concentrarsi su chi parla più chiaramente?
Perchè dalla storia forse si dovrebbe imparare, più che provare ad insegnare.
Arch. Nicola Piacentini
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