Su Renzo Piano

Le riflessioni su un architetto del calibro di Renzo Piano sfuggono ad ogni desiderio di diagnostica.
Il suo lavoro è talmente trasversale, talmente impregnato di quella sana forma di architettura “buona” che ogni pretesa di definizione desiste quasi subito.

Ci sono tuttavia alcuni elementi che, nel corso della carriera dell’architetto genovese, lo hanno fatto brillare nel firmamento della storia dell’architettura, accanto ai grandi maestri. La sua opera illumina tutt’oggi il nostro fare ma ridurre il suo operato all’aspetto tecnologico o, come si sente spesso, alla logica dell’ “High-Tech” è tremendamente riduttivo oltre che scontato. Proverò quindi, di seguito, a definire molto sommariamente quelli che sono stati e sono i caratteri di eccezionalità che ho estrapolato e reso avvertimenti anche per il mio lavoro.

1) “Pezzo per pezzo”

La logica del montaggio nei progetti di Piano assume carattere determinante. Ogni elemento viene esaltato per le proprie caratteristiche e per la propria natura d’essere, senza inganni né indugi legati a sterili formalismi.
Impianti e strutture non vengono mai occultati, anzi vengono resi palesemente distinguibili in un processo di intaglio e modellazione che esula dall’addizione che, solitamente, viene applicata dalla maggioranza dei progettisti.
Ecco dunque che, come nel Centre Pompidou, gli impianti diventano elementi prospettici e rientrano, a tutti i diritti, all’interno della composizione della facciata: il suo disegno risulta così derivante dai flussi di movimento o dei fluidi contenuti delle tubazioni impiantistiche, rese colorate e infittite, ripetute, raggruppate a seconda della volontà del progettista ma sempre in grado di sorprendere per la loro imprevedibile capacità di scandire il ritmo della facciata infondendole un movimento.

Facciata principale del Centre Pompidou a Parigi

La composizione dell'apparato impiantistico di facciata del Centre Pompidou a Parigi

Facciata principale del Centre Pompidou a Parigi

2) Forma-struttura

Il rapporto fra la forma esteriore e la struttura che la regge diventa diacronico e stretto in ogni opera del maestro genovese.
Gli esempi non si contano.
E’ un aspetto fortemente legato al concetto precedente di cui diviene il naturale proseguimento: la distinzione degli elementi derivata dalla logica di assemblaggio permette di cogliere la fatica compiuta dall’edificio per vincere la gravità o per rispondere ai requisiti funzionali.
Oltre al già citato Centre Pompidou, è una logica chiaramente percepibile nell’ampliamento del Kimbell Art Museum di Kahn: qui gli elementi portanti (come i pilastri e le travi) vengono mantenuti staccati dalla sovrastruttura e maniacalmente anche fra essi stessi. Ogni elemento viene percepito per la sua funzione specifica e non ci sono trucchi ne inganni: il ritmo della copertura diviene automaticamente quello del prospetto che è lo stesso ritmo strutturale.

Vista del Piano Pavilion

Il Piano Pavilion

Maestri a confronto

Il dettaglio costruttivo delle travi al Piano Pavilion

3) Leggerezza&Precisione

Il controllo della logica costruttiva è testimoniato dall’enorme quantità di dettagli costruttivi studiati dal RPBW in occasione di ogni incarico. Ma ciò che colpisce, è la capacità di questi dettagli di non essere mera costruzione, ma di esprimere idee e poetiche: così come i suoi schizzi, ogni progetto di piano è perfettamente capibile e interpretabile solo osservandone i dettagli costruttivi chiave.
Forse è tale logica che scaturisce la precisione dell’architettura di Piano: i suoi edifici risultano tremendamente chiari ed esprimono un senso di leggerezza fuori dal comune.
Ne è un esempio il magnifico edificio del New York Times, dove la struttura portante in acciaio (da lui utilizzata in maniera quasi ossessiva) viene lasciata a vista: i montanti che definiscono il ritmo strutturale vengono garantendo permeabilità dello sguardo, il quale man mano si smaterializza e la leggerezza viene resa palpabile nella rarefazione del rivestimento di facciata al culmine della copertura, dove si confonde coi colori del cielo.
Tecnologia al servizio della poetica compositiva e architettonica e non assoggettata o assoggettante.

Il fronte dell'edificio del New York Times

L'edificio del Ney York Times si smaterializza nel cielo

Potrei identificare decine di tematiche che meriterebbero altrettanta attenzione. Dalla reinterpretazione dei modelli antichi di Mies e Kahn allo studio dell’inserimento delle opere nel paesaggio, senza parlare dell’approccio tecnologico e costruttivo di cui si è dato solo un semplice accenno, della sua estrema capacità di sintesi, dell’utilizzo modulato della luce, del tema dell’architettura sociale e della sospensione, della porosità urbana e della pionieristica idea di un ritorno dell’architettura al proprio ruolo di catalizzatore di relazioni.

Ma credo che più di tutti, Piano ci insegni che tutto ciò che comporta l'"essere" un edificio possa rientrare nel processo poetico e che, in un mondo così intriso dalla "macchina infernale" della tecnologia, questa può essere a tutti gli effetti considerata alleata anziché scomoda compagna di viaggio.

Arch. Nicola Piacentini

Torna al blog

Altri spunti interessanti.

Su Alvar Aalto

15.10.2020

Su Ricardo Bak Gordon

15.09.2020

Su Alejandro Aravena

15.07.2020

Questo sito utilizza cookie tecnici per una migliore esperienza e avere statistiche sull’uso. Per saperne di più o negare il consenso Privacy e Cookie

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi